di Patrizia Nesti
Il gravissimo episodio avvenuto recentemente a Casteldaccia, presso Palermo, ha visto la morte di cinque operai impegnati in lavori di manutenzione della rete fognaria. Ancora morti sul lavoro, in una situazione generale di mancanza di sicurezza che produce una strage continua.
Ne parliamo con un compagno che ha lavorato a lungo nell’azienda locale livornese di ciclo integrato dell’acqua, un’azienda che si occupa in particolare di distribuzione e depurazione di acqua e gas.
D- Partendo da questo tragico episodio, puoi spiegarci che cosa è successo?
R- Ovviamente non posso che basarmi su quanto è stato riportato dalla stampa ufficiale, cercando di dare comunque una lettura di quanto avvenuto in base alla mia esperienza come lavoratore del settore.
Gli operai lavoravano per una ditta in appalto per conto di Amap, la società che gestisce le condotte idriche e fognarie palermitane, ed erano incaricati di interventi di disostruzione della rete fognaria.
I lavoratori si sono calati all’interno del locale della fogna e sono rimasti intossicati dalle esalazioni di gas fortemente tossici. Questo ciò che ha riportato la maggior parte della stampa ufficiale, che non ha mancato di sottolineare che i lavoratori non avevano dispositivi di protezione, né mascherine né altro, alludendo, come spesso fa la narrazione mainstream, a una loro sventatezza o frettolosità, a scarsa valutazione del rischio, a scarsa formazione. Comunque una loro responsabilità, anche se non consapevole.
In realtà vanno considerati vari fattori. Innanzitutto il luogo dove gli operai sono morti è un luogo sottoposto a confinamento, chiuso con lucchetto. Vi si può entrare solo per disposizione gerarchica e con l’attivazione di un sistema di protezione e di procedure molto rigide. Ad esempio prima di entrare va fatta con un apposito strumento, il gas alert, una rilevazione dei gas presenti ed una prova di esplosività, poiché in questi luoghi si trovano gas altamente pericolosi, quali solfuro di idrogeno, anidride carbonica e metano. Occorre inoltre che i lavoratori abbiano a disposizione un autorespiratore e che sia presente la “chiocciola”, cioè il cavalletto che serve per recuperare il lavoratore da una situazione di infortunio o di malore.
A Casteldaccia nessuna di queste procedure è stata rispettata, nonostante che la presenza di idrogeno solforato fosse 10 volte superiore al limite di sicurezza, come è stato poi rilevato. Ma soprattutto, a monte di tutto, qualcuno ha aperto il lucchetto e mandato i lavoratori ad operare in una zona preclusa e confinata. Per quanto ne so, in base alla mia esperienza, la responsabilità dell’accesso a zone confinate e delle relative procedure da attuare è esclusivamente dell’azienda. I lavoratori non possono accedere di propria iniziativa ad un locale confinato. Qualcuno ha aperto e ha dato loro disposizione di entrare.
D- Parlando più in generale, quali sono le principali problematiche relative alla sicurezza per chi lavora nel comparto del gas ?
R- Facendo riferimento alla mia esperienza, i rischi nelle lavorazioni relative sia al comparto gas che al comparto acqua sono molteplici. Si lavora spesso con utensili grandi, con grandi diametri di tubazioni e questo è già di per sé un fattore che espone molto frequentemente a infortuni. Ma il pericolo veramente rilevante è quello della esposizione a sostanze cancerogene e tossiche nelle attività di depurazione, bonifica e riparazione sulle condotte in fibrocemento. Si va dalla intossicazione, che può anche essere letale, come nel caso di Casteldaccia, all’assorbimento di sostanze tossiche o cancerogene che portano patologie nel breve e nel lungo periodo. Se pensiamo che certi interventi lavorativi non sono occasionali, ma, come nel caso delle riparazioni, fanno parte di attività quotidiana ordinaria, si comprende come la frequenza dell’infortunio sia elevatissima.
Nel mio ultimo periodo di lavoro, prima di andare in pensione, nell’azienda di distribuzione acqua e gas in cui lavoravo eravamo riusciti ad ottenere procedure di sicurezza ben fatte, anche se spesso non venivano rispettate per i soliti problemi: imposizione di tempi e velocità di ritmo di lavoro, mancato controllo delle procedure.
D- Come viene attuata nelle aziende la formazione dei lavoratori per la sicurezza?
R- La formazione è doverosa e prevista dalla legge, quindi le aziende la fanno, ma spesso non per perseguire il fine della sicurezza, quanto perché rappresenta una forma di rientro economico vantaggioso per l’azienda stessa. La formazione è finanziata, le aziende accedono a specifici fondi, quindi non sostengono un costo e attuando formazione rientrano nello standard richiesto dalle normative e nelle certificazioni di qualità; inoltre nelle giornate di formazione c’è un risparmio sul costo del lavoro, sull’usura dei mezzi di lavoro, sul consumo di carburante etc.. Si risparmia sulla fornitura di servizi perché non si manda gente fuori a lavorare, è come un giorno festivo ma finanziato dall’esterno. Quindi la formazione, almeno in aziende come quella in cui lavoravo io, viene fatta. Il problema è che alla formazione non fa seguito molto altro, non si fanno ad esempio le prove pratiche in situazione lavorativa reale. Ci dovrebbero essere livelli di formazione progressivi: ad esempio, durante la formazione ti dicono che serve un autorespiratore, poi però te lo devono fornire e devi provarlo sul campo, in situazione di disagio o di pericolo, devi sapere se la bombola la finisci in un’ora o in 40 minuti o in 20, perché in pochissimo tempo ti manca l’aria e una maschera facciale senza alimentazione di aria ti soffoca quasi quanto il gas. Ma fare questo implica tempo ulteriore rispetto a quello della formazione in aula finanziata e quindi spesso non viene fatto.
La cosa veramente grave comunque è che se le aziende fanno comunque una formazione, sia pure limitata, le ditte a cui il lavoro viene esternalizzato non fanno formazione e disattendono le procedure di sicurezza, per rientrare nei costi e realizzare maggiore profitto. Le aziende che esternalizzano a ditte sono ben consapevoli di tutto ciò.
D- Quanto è diffusa l’esternalizzazione nel comparto di cui si sta parlando, quali sono i lavori esternalizzati, quanto pesa nella gestione della sicurezza l’affidamento di alcuni lavori a ditte esterne ?
R- In gran parte delle aziende del ciclo integrato dell’acqua nel panorama nazionale le esternalizzazioni sono diventate prioritarie. E’ importante specificare che ad essere esternalizzati non sono solo i lavori di basso profilo, più dequalificati e più rischiosi, ma anche, sempre più, quei servizi primari che sono caratterizzanti e specifici dell’azienda. Quindi si esternalizzano ad esempio la gestione del magazzino, l’intervento diretto presso l’utenza, le riparazioni in reperibilità.
Le forme di esternalizzazione sono varie. Nel comparto acqua e gas ci sono ditte che lavorano in appalto, in subappalto, ma sempre di più, abbiamo anche le consociate, società partecipate a capitale misto, dell’azienda madre e di privati, in cui i dipendenti non sono inquadrati ad esempio nel contratto nazionale Federgasacqua, ma hanno contratti vari e diversificati, ad esempio multiservizi, metalmeccanici, edili. Nel gravissimo incidente sul lavoro di Firenze di pochi mesi fa alcuni operai morti per il crollo del pilone di cemento del supermercato in costruzione avevano il contratto di metalmeccanico mentre erano impegnati in attività edilizie. In questa giungla di esternalizzazione vengono meno clausole e protezioni contrattuali basilari, prevale la precarietà, il ricatto occupazionale, ma soprattutto viene meno la sicurezza.
Il caso di Palermo, da cui siamo partiti è lampante: una ditta esternalizzata, un tipo di lavoro appaltato evidentemente al ribasso, con condizioni che vengono stabilite ma non rispettate per realizzare profitto. Il contratto d’appalto, a quanto si legge sulla stampa, prevedeva aspirazione di liquami con autospurgo, senza che il personale scendesse sottoterra. Quindi evidentemente non era nemmeno prevista la dotazione di autorespiratori, gas alert etc.. Invece l’autospurgo non c’era e i lavoratori sono stati fatti scendere nel sottosuolo privi di idonee protezioni. E qualcuno ha aperto il lucchetto della zona confinata e li ha fatti scendere.
D- Può essere utile a tuo avviso, per garantire maggiore sicurezza, l’introduzione di reato di omicidio sul lavoro di cui si sta attualmente parlando?
R- Io credo che la questione non solo non sia utile, ma sia anche controproducente, perché distoglie i lavoratori e le forze sindacali dai veri problemi sulla sicurezza. Il padronato e gli amministratori delegati delle grandi aziende non hanno certamente paura di questa ipotetica futura legge, sono abituati a ben altro, e sanno benissimo come far ricadere la responsabilità, qualora sia accertata, sull’ultimo anello della catena, se non sui lavoratori stessi, trasformando le vittime in colpevoli, colpevoli di disattenzione, di superficialità, di approssimazione, di distrazione. Le leggi vengono manipolate con facilità, il pool di avvocati di una grande azienda sa come schiacciare la vertenza di un singolo lavoratore e piegarla al mantenimento dei propri interessi, profitti e privilegi. Quello che occorre sono maggiori controlli su posti lavoro, una formazione alla sicurezza che sia reale e delle procedure di sicurezza corrette, che vengano rispettate. A costo di ridurre i profitti, anzi, impedendo alle aziende di realizzare profitti sulla pelle dei lavoratori. Ed eliminare le esternalizzazioni, perché la gestione della sicurezza, così come la tutela contrattuale, deve essere uguale per tutti i lavoratori.
D- Quale ruolo hanno i sindacati nel garantire il rispetto delle norme di sicurezza? Ci sono connivenze tra sindacati confederali e aziende? Tra medici competenti e azienda? Tra ispettorato del lavoro e azienda?
Le connivenze sono varie e molteplici e nessuno dei tre soggetti citati ne è escluso. Per quanto riguarda l’ispettorato del lavoro, gli interventi sono sporadici e spesso in qualche modo “preannunciati”, lo dico per esperienza diretta: quando doveva venire l’ispettorato del lavoro in qualche modo si sapeva prima e quindi per l’occasione certe cose venivano fatte secondo criterio e procedure. I medici aziendali, come gli RSPP, sono figure che affiancano il datore di lavoro, per cui spesso accade che invece di tutelare come dovrebbero la salute dei lavoratori difendono gli interessi delle aziende. Per quanto riguarda poi i sindacati confederali, sappiamo benissimo qual è la situazione: grandi proclami di sdegno a ogni morte sul lavoro, qualche ora di sciopero a inizio o fine turno, però poi nelle aziende continuano a sostenere la politica delle esternalizzazioni e degli appalti, contribuendo così a creare quelle situazioni di precarietà e scarsa sicurezza che determinano gli incidenti di cui si lamentano. I lavoratori devono smettere di accordare la loro delega a questi soggetti.
D- Quale ruolo può avere un rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) o un’azione sindacale dal basso sul luogo di lavoro ?
R- L’azione del sindacato di base, se ben fatta e ben condotta, è fondamentale, anche perché rompe certe dinamiche di connivenza o di accettazione dell’esistente all’interno dell’azienda. Ci vuole grande determinazione, perché lavorare poi in un organismo come la RSU è difficile, ti trovi sempre in minoranza e in difficoltà. Per un certo periodo nella mia azienda ho svolto l’incarico di RLS, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza designato dai lavoratori, e siamo riusciti ad ottenere alcuni risultati importanti: ad esempio abbiamo fatto sospendere alcune tipologie di lavoro pericolose, come le bonifiche sull’amianto, cosa mai affrontata prima in azienda. L’amianto è un materiale che non si poteva più usare già nel 1992, ma nel nostro ATO, il comprensorio territoriale gestito dall’azienda pubblica acqua e gas, l’amianto è ancora presente nel 40% delle condotte, che sono molto vecchie e hanno bisogno di frequenti riparazioni. Non è semplice trovare soluzioni alternative, non è semplice nemmeno sottrarsi alla vischiosità del rapporto con la dirigenza che cerca spesso di coinvolgere il RLS nell’approvazione di documenti di valutazione del rischio e di adozione di procedure della sicurezza al solo scopo di mostrare l’accettazione dell’esistente da parte dei lavoratori. Occorre avere un rigoroso punto di vista sindacale, che individui con chiarezza la contrapposizione dell’interesse dei lavoratori rispetto a quelli del datore di lavoro, occorre la volontà di sapersi opporre ai ricatti e alle seduzioni carrieristiche, ma soprattutto occorre un grande senso di solidarietà, avere ben presente che nessuno deve essere lasciato indietro e che insieme siamo più forti. Solo così possiamo garantirci salario e sicurezza.